Sant'Antioco (Turritano), Cattedrale di San Nicola, Sassari |
di Marcello Derudas, Coordinatore
Regionale 'Summorum Pontificum'
Sardegna
Riguardo
il titolo di Patrono della Sardegna che abusivamente si trova attribuito in
numerose pubblicazioni sarde riguardo il martire paleocristiano in Sardegna
Antioco, vi è da notare che questo viene usato – nelle fonti – sempre in ambito
cagliaritano-sulcitano, specie dagli arcivescovi di Cagliari e dagli agiografi
della medesima città, dal XVII secolo in poi e all’interno della nota
“questione del Primato” che mise fronte a fronte le due Sedi Metropolitane
sarde principali (Cagliari e Sassari),1 mentre le fonti antiche e
medievali (epigrafiche e documentarie) si limitano a descriverlo come
presbitero e martire nell’isola di Sulci, illustre per santità (esempio
importante è la cosiddetta “pietra di Barega”2 oltre alla preziosa
epigrafe Aula micat rinvenuta nel tempio eretto in Sulci sulla sepoltura del
santo e poi traslata ad Iglesias).
Gli
arcivescovi cagliaritani, al tempo titolari anche della Sede episcopale
sulcitana, in particolare, tendevano a presentare questo titolo “patronale”
nelle visite ad limina, così da
mettere nero su bianco la quaestio dinanzi al Sommo Pontefice di turno e
attendersi se non una chiara convalida un silenzio assenso, pratica tuttavia
assolutamente fuori luogo in contesti simili e poco presente nella prassi.
Sulla questione infatti nessun Pontefice si è mai espresso ufficialmente e per
questo si è sempre data per accettabile la mera consuetudo e per giunta solo in alcuni luoghi della Sardegna. È
sotto gli occhi di tutti, infatti, come in intere macro-aree della Sardegna
ecclesiastica il culto del santo sia sconosciuto o totalmente scomparso se un
tempo presente; inoltre, non sono pochi a ignorare anche le più elementari
nozioni agiografiche su quella che eppure è una figura importantissima del
Cristianesimo dei primi secoli in Sardegna, assieme a Gavino e Compagni a
Torres, Lussorio a Fordongianus e Simplicio ad Olbia.
A
nostro avviso, il patronato sull’intera Isola da parte di sant’Antioco di Sulci
è una “pia idea” cagliaritana del XVII secolo costruita, in parte da inserirsi
nella citata “questione del Primato”, in parte dovuta alla buona fede di chi
comunque conosceva la grande devozione professata dai sardi verso questo
singolare santo medico. Prima di questo momento, infatti, il suo culto era
diffuso un po’ ovunque ma nessuno aveva mai parlato di “patronato ufficiale e
generale sul Regno Sardo” se non dopo l’invenzione del corpo avvenuta nel 1615.
I testimoni precedenti, del resto, parlano di un culto molto radicato ma niente
più, mentre dal ritrovamento delle spoglie la gara per esaltare il santo fece
ribollire la diocesi di Cagliari e quelle circonvicine annesse, intenzionate a
primeggiare su Sassari ostentando il corpo di un santo così importante e allo
stesso tempo sminuendo quello verso il “finto” Antioco turritano, vale a dire
l’omonimo discusso santo ritrovato in un pregiato sacello vicino a quello dei
santi Gavino, Proto e Gianuario a Torres nel 1614 (cfr. con il saggio di chi
scrive “Il culto di Sant’Antioco a
Sassari” in Annali Sulcitani 2014).
La
battagliera discussione per la Primazia sull’Isola fra i due principali
arcivescovi sardi portò in questo tempo a veri e propri attacchi reciproci che,
spesso, sfociarono in falsificazioni di documenti (lampante caso del Triumpho di Dionigi Bonfant) e creazioni
di cripte-reliquiario preziose per arte e ingegno quanto singolarmente
“grottesche”, come quella del Duomo di Cagliari.
La
valutazione più equanime in materia viene invero da vari personaggi quasi
“insospettabili” vissuti rispettivamente nei secoli XVII, XVIII e XIX:
Francesco De Vico, giurista sassarese di somma fama, Reggente del Supremo
Consiglio d’Aragona e compilatore della Summa legislativa sarda, Michele
Antonio Gazano, illustre Cavaliere cagliaritano, e Pasquale Tola, storico e
diplomatista sassarese fra i più celebri della Sardegna. Il primo, che pure non
aveva brillato per obiettività in altre sue opere, nella sua fondamentale
raccolta del 1640 “Leggi e Prammatiche Reali del Regno di Sardegna” aggiunse un
Calendario Liturgico elencante i vari santi da festeggiarsi obbligatoriamente
nel Regno sardo. Tra questi, nessuno viene elencato con grado superiore ad
altri, e i santi sardi come Gavino, Proto e Gianuario, Gabino, Crispolo e
Crescenziano, Saturnino, Antioco, convivono pacificamente con le feste di
Cristo, della Vergine, degli Apostoli e di altri santi (nei casi dei Martiri
Turritani e di Sant’Antioco sulcitano si ricordano anche le feste della
Dedicazione della rispettiva chiesa di Torres e della “Consagracion de la Yglesia” del santo sulcitano)3.
Il
secondo, da par suo, ragionando dell’importanza di sant’Antioco, lo considerò
(nel 1777) “tra i santi protettori del Regno”, non sbilanciandosi però su alcun
titolo di preminenza del medico martire sugli altri santi venerati in Sardegna
come protettori e taumaturghi, cioè Gavino di Torres, Lussorio, Efisio,
Saturnino, Simplicio di Fausania (Olbia) ecc.4.
Il
Tola, invece, molto laconicamente, dopo aver illustrato la vita del santo di
Sulci sulla scorta delle più antiche fonti, scrive: “S. Antioco è venerato come
patrono nella diocesi di Cagliari” 5.
Per
chiudere questi modesti appunti su un tema che sarebbe doveroso approfondire, è
importante notare che un precedente illustre del Vico può essere considerato
altresì Mons. Giacomo Passamar, l’arcivescovo turritano che più di altri si
trovò coinvolto nella “bufera del Primato” dopo l’improvvisa morte del
predecessore e altrettanto zelante “primatista turritano” Antonio Canopolo nel
1621). Nel Calendario dei santi sardi e non sardi, da ricordare
obbligatoriamente nelle azioni liturgiche della Diocesi Turritana, annesso alle
Costituzioni e Decreti del Sinodo da lui convocato a Sassari nello scomparso
oratorio di Santa Croce nel 1625, egli – pur non rinunciando a definirsi “Primas Sardinae et Corsicae”, - fece
inserire molti santi sardi tutti allo stesso grado di officiatura (Duplex
dunque solenne). Fra questi: San Potito (13 gennaio), Sant’Efisio (15 gennaio),
l’Invenzione dei Santi Martiri Turritani (seconda domenica dopo Pasqua), San
Giorgio di Suelli (23 aprile), Dedicazione della Basilica dei Santi Martiri
Turritani (4 maggio con Ottava), Santa Giusta, Giustina ed Enedina (14 maggio),
San Simplicio (15 maggio), Santi Emilio, Priamo, Luciano e Felice (28 maggio),
Santi Gabino e Crispolo martiri turritani (30 maggio), San Crescenziano martire
turritano (31 maggio), San Sallustiano confessore (8 giugno), San Simmaco papa
(19 luglio), Sant’Eusebio di Vercelli (1 agosto), Santi Lussorio, Celso (sic) e
Camerino (21 agosto), Sant’Ilario papa (10 settembre), Traslazione dei Santi
Martiri Turritani (seconda domenica d’ottobre), Traslazione del corpo di
sant’Agostino d’Ippona in Sardegna (11 ottobre), Santi Gavino, Proto e
Gianuario, patroni della Provincia Ecclesiastica, della diocesi e della Città
di Sassari (25 ottobre con Ottava), San Saturnino martire cagliaritano (30
ottobre), San Ponziano papa e martire in Sardegna (19 novembre) e, infine,
Sant’Antioco martire in Sardegna (13 dicembre) 6.
Salta
subito all’occhio la benevola volontà del presule e del suo clero di mettere
allo stesso livello tutti i santi sardi, elevando leggermente il privilegio
liturgico alle due feste principali relative ai Martiri di Torres (4 maggio e
25 ottobre – con Ottava). Di questi, oltre a quelli meno conosciuti e che poco
tempo dopo anche il Vico avrebbe taciuto (Sallustiano, Giorgio di Suelli,
Celso/Cesello e Camerino ecc.), il Passamar volle ricordato anche Antioco,
specificandone lo stato come “martyris in
Sardinia” senza attribuirlo a Sulci o a Torres (in ciò si vede
l’adeguamento alle prescrizioni cautelari volute da Urbano VIII nel 1623
riguardante i santi a patroni e il culto degli stessi e ricordate pure
dall’Angius nella loro applicazione sarda) 7. La data del 13
dicembre può immediatamente far pensare ad un’aderenza al Martirologio del
Baronio basato su quello Geronimiano, ma non è improbabile che dietro vi fosse
la precisa volontà di non sovrapporre le celebrazioni sassaresi a quelle
sulcitane, così da evitare ulteriori scontri e attrarre negativamente l’attenzione
della Sacra Congregazione dei Riti sulla spinosa faccenda (il Passamar passò
lungo tempo in Roma per perorare la causa turritana e se non riuscì ad ottenere
privilegi superiori a Cagliari almeno ottenne di poter stare alla pari con
questa) 8. Infine, non può essere addotto come decisione del
patronato supremo di sant’Antioco sulla Sardegna il decreto di Urbano VIII Decretum super electione sanctorum in
Patronos (1630), poiché il sommo documento pontificio prevede, fra altre
cose, il diritto di sicuro patronato per i santi il cui culto persiste ab immemorabili. Le fonti dell’intera
Isola di Sardegna, però, non sono affatto allineate in ciò (nel Logudoro
medievale è attestato con sicurezza il solo caso di Bisarcio mentre le restanti
testimonianze sono sparse casualmente). Dal 1630 in poi, non è mai
assolutamente concorde in Sardegna il patronato sul Regno/Isola, di
sant’Antioco di Sulci, ergo, il decreto di papa Barberini non può essere
applicato. Dunque bastò e basta solo questo pronunciamento generale del
Pontefice per chiudere la faccenda, ma sino ai giorni attuali si è proseguito
nell’abuso del titolo, nonostante unica patrona della Sardegna sia la Vergine
Maria sotto il titolo di “Madonna di Bonaria”, come deciso da san Pio X nel
1907, il cui culto – principiato sotto il primo dominio aragonese nel XIV
secolo presso il Castello di Cagliari dove sarebbe sorto l’attuale santuario
omonimo – non è comunque ad onor del vero diffuso omogeneamente in tutta la
Sardegna. Fu dunque un culto “imposto ed esteso forzatamente dall’alto” a tutta
l’Isola, ma felice, giacché in Sardegna il culto per la Vergine Maria,
diffusissimo sotto ogni titolo, ha radice molto antiche e forti.
1 Tra questi: l’arcivescovo di Cagliari Mons. Bernardo De La
Cabra nelle visite ad limina del 1648
e del 1654 dinanzi a Innocenzo X, lo scrittore Giovanni Francesco Carmona
(cagliaritano) nel 1631, il padre cappuccino Jorge Aleo (cagliaritano) ante
1677 – 1784, Salvador Vidal (di Maracalagonis presso Cagliari) nel 1638, il
padre piarista Tommaso Napoli (cagliaritano) nel 1784 e del quale parleremo, in
nota, più avanti.
2 Cfr. F. Pili, Nuove
iscrizioni dal Sulcis-Iglesiente, inserito in Dottrina Sacra. Problemi di teologia e di Storia, Cagliari, 1977,
pp. 137-147.
3 Cfr. F. De Vico, Libro
Primero de las Leyes y Pragmaticas Reales del Reyno de Sardegna, Libro I,
ristampa di Cagliari del 1714 sull’originale del 1640, pagg. 18-19. Nel
Calendario del Vico si ricorda anche la festa dell’Invenzione di San Saturnino
a Cagliari (14 ottobre) e la consacrazione della cattedrale della medesima
Città (7 novembre). Il Vico, ardente difensore della sua diletta Sassari, in
altri lavori di argomento storico, giuridico, ecc. si era mostrato di un acceso
municipalismo. Solo nelle Prammatiche mostra sincera obiettività e grande
dimostrazione di scienza e intelletto, senza sbilanciamenti di sorta.
4 Cfr. M. A. Gazano, La
Storia della Sardegna, Cagliari, 1777, pagg. 67-68.
5 Cfr. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di
Sardegna, vol. I, Nuoro, 2001, pag. 128.
6 Cfr. Constitutiones et
Decreta Synodalia edita, et promulgata in Diocesana Synodo Turritana quam
Illustrissimus, et Reverendissimus Dominus Don Iacobus Passamar, Sassari,
1625, pagg. 128-130.
7 Cfr. V. Angius, Città
e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, a cura di L. Carta, Nuoro, 2006,
vol. II pag. 644; vol. III pag. 1493.
8 Volontariamente abbiamo taciuto del padre scolopio Tommaso
Napoli (1743-1825), uomo che – in campo storico e culturale – non ebbe nessun
rispetto verso gli storiografi, i corografi e gli antichi scrittori, greci,
latini e sardi, e sempre fu sprezzante e sarcastico verso qualunque argomento
riguardante la Città di Sassari. Il suo essere di parte e la sua inaffidabilità
sono evidenti in ogni sua opera. Dal Vico al Cossu, al Madao, al Vidal e
all’Azuni (della fama di quest’ultimo si mostrò particolarmente geloso), tutti
passarono sotto la sua sferza violenta e ingiusta. Si trattenne a stento dal
giudicare Giovanni Francesco Fara, il grande Padre della storiografia sarda,
del quale tuttavia ebbe a dire che si lasciò ingannare dallo spirito dei tempi
e da false carte. Definito dal Tola “omiciattolo di verun nome, arrogante per apparenza
non per verità di sapere, ma di nequizia letteraria e non letteraria
dottissimo” (cfr. P. Tola, Dizionario
biografico degli uomini illustri di Sardegna, vol. III, Nuoro, 2001, pagg.
19-24), ebbe la disapprovazione anche di Enrico Costa, il famoso erudito
sassarese, che non ebbe per lui buone parole, in un tempo in cui ormai ogni
contesa con Cagliari era cessata. Il padre piarista, tuttavia, nonostante la
sua verve polemica, condusse una vita religiosa modesta e accostumata, e negli
ultimi anni ebbe a pentirsi di aver sprecato parte della vita in vane contese.
Su sant’Antioco scrisse un opuscolo dato a Cagliari nel 1784, dove scrisse, con
notevole “faccia di bronzo” (perdoni il lettore), che non esisteva nel Regno
sardo chiesa che non avesse un altare dedicato al santo o un suo simulacro
(esagerazione che non merita ulteriori spiegazioni), onestamente dichiarando
tuttavia che il culto era molto più sentito in Cagliari ed Iglesias, dove per i
festeggiamenti in onore del santo accorrevano migliaia di fedeli. Cfr. T.
Napoli, Vita Invenzione e Miracoli del
glorioso martire Sant‟Antioco detto volgarmente
sulcitano,
Cagliari, 1784.